Cosa è mobbing e cosa no. Corte di Cassazione, ordinanza n.29400 del 14 novembre 2024
La Corte precisa che le singole violazione della integrità fisica e della personalità morale del lavoratore che non integrano gli estremi del mobbing se manca l'elemento unificante costituito dall'intento persecutorio (es. semplice straining, in mancanza della sistematicità) e distingue gli oneri probatori a carico del danneggiato; nel caso di mobbing è a carico del ricorrente anche la prova dell'intento persecutorio.
“Le ipotesi di mobbing costituiscono violazioni dell’art. 2087 c.c. e, quindi, integrano fattispecie di responsabilità contrattuale che si caratterizzano, rispetto alle altre infrazioni del menzionato art. 2087 c.c., per il fatto di assumere rilievo principalmente in presenza di una serie di condotte legittime del datore di lavoro unificate da un intento persecutorio le quali, nonostante la formale correttezza dell’operato del detto datore, rappresentano, comunque, proprio in ragione di tale intento, un inadempimento agli obblighi derivanti dal citato art. 2087 c.c.”;
“Il lavoratore che lamenti la violazione della prescrizione dell’art. 2087 c.c. è tenuto, sul piano della ripartizione dell’onere probatorio, a riscontrare il fatto costituente inadempimento dell’obbligo in questione nonché il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso ed il danno da lui eventualmente subito, mentre non è gravato dall’onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante; peraltro, ove denunci la ricorrenza di un’ipotesi di mobbing, egli deve non solo allegare l’inadempimento datoriale e provare il titolo del suo diritto, il danno asseritamente subito e il nesso causale fra detto inadempimento e il pregiudizio lamentato, ma anche dimostrare l’intento persecutorio di controparte”